IL CONFLITTO DI INTERESSI

Gran parte dell'evasione si nasconde all’interno delle maglie del sistema di auto - dichiarazione dei redditi. 

Tutto ciò è reso possibile dal fatto che se il proprio reddito è certificato da un soggetto terzo, per esempio il datore di lavoro, inevitabilmente sarà alquanto difficile poterlo nascondere.

Diversamente, laddove è il contribuente a dichiarare in modo del tutto autonomo i propri redditi, sarà sufficiente per lui non tenerne traccia per nasconderli e quindi non contribuire in modo integrale (e per quanto realmente dovuto) alle spese pubbliche.

Il motivo per cui queste categorie di contribuenti sono meno propensi ad evadere è rappresentato dalla modalità attraverso le quali il loro reddito prende forma:

il dipendente svolge il proprio mestiere;

il datore di lavoro, a fronte di questa prestazione, corrisponde una paga/stipendio che rappresenta il reddito del dipendente, al netto delle imposte dovute.

Nei fatti perciò è il datore di lavoro che già in fase di erogazione dello stipendio (reddito per chi lo riceve) ne trattiene una quota per versarla allo Stato in nome proprio ma per conto del proprio dipendente.

Lo Stato, in questo caso, si basa di fatto su quello che comunica il datore di lavoro perché, nella stragrande maggioranza dei casi, quel dato coincide con quello reale. La ragione di questa coincidenza è da rinvenire semplicemente nel fatto che, alla base del rapporto tra datore di lavoro e dipendente, vi è un contratto tra due parti le quali, ovviamente, cercheranno di ottimizzare i loro interessi.

Infatti, in questo caso, sebbene sia sempre un privato (il datore di lavoro) a certificare i redditi del proprio dipendente, la bassissima incidenza dell’evasione tra i lavoratori dipendenti, evidenzia il successo di tale forma di riscossione fiscale.

Tale successo si basa su un solo termine: INTERESSE.

Infatti il datore di lavoro ha tutto l’INTERESSE a certificare i redditi che eroga (gli stipendi che paga) ai propri lavoratori, perché per lui quegli stipendi saranno dei costi che potrà dedurre prima di quantificare, a sua volta, il proprio reddito (e quindi lo faranno diminuire).

Anche se il lavoratore avrebbe INTERESSE a dichiarare meno, non può farlo perché contro il proprio INTERESSE, viene fuori l’INTERESSE contrapposto del datore di lavoro che, per poter “abbattere” (diminuire) i propri ricavi, ha invece necessità di quantificare in modo esatto quanto paga al proprio dipendente.

INTERESSE quindi o, meglio, CONFLITTO DI INTERESSI tra contribuenti, è questa l’arma e la strategia migliore per combattere l’evasione.

Creare e sostenere il conflitto di interessi è fondamentale per ridurre l’evasione che caratterizza il nostro paese perché finché due contribuenti, tendenzialmente il cliente ed il venditore, non saranno in una situazione di interesse diametralmente opposta, al pari di quella tra datore di lavoro e dipendente, difficilmente potranno essere raggiunti risultati soddisfacenti.

Affinché però il cliente abbia un interesse a far emergere i ricavi del venditore è necessario portarlo a preferire allo sconto (eventuale) praticato dal contribuente che vende, un beneficio contrapposto, ed inevitabilmente di carattere fiscale, che possa poi incidere in positivo sulla propria dichiarazione dei redditi.

Le principali critiche mosse al sistema basato sul conflitto di interessi si basano da un lato sui costi di un tale approccio (il contribuente per essere incentivato a preferire la fattura rispetto allo sconto in nero, deve ottenere un vantaggio fiscale che, per essere altrettanto “interessante” e competitivo, dovrebbe essere pari più o meno allo sconto andando ad azzerare il gettito che si recupererebbe) dall'altro sulla considerazione che non tutti evadono e pertanto attraverso questa teoria non si andrebbe a recuperare quanto in realtà si spenderebbe (si andrebbe a permettere la deduzione di spese, altrimenti non deducibili, a favore dei clienti, sulle quali comunque non ci sarebbe alcun ritorno a favore dello Stato in quanto alcuni dei venditori, autonomamente e senza alcuna “induzione” forzosa, dichiarerebbero a prescindere tutti i loro redditi).

In realtà questo approccio però avrebbe innanzitutto un forte impatto socio-culturale perché permetterebbe finalmente di far abituare i contribuenti a richiedere il rilascio dello scontrino, (un atto che nella stragrande maggioranza delle persone crea quasi imbarazzo ritenendo tale, legittima, richiesta, quasi come una forma di vessazione nei confronti del venditore) nonché di non considerare più “l’omessa certificazione dei corrispettivi/ricavi”, ovvero in parole semplicissime, il mancato rilascio dello scontrino o della ricevuta e, quindi, l’evasione, come un qualcosa che toglie solo allo Stato, bensì a tutti.

Le critiche di carattere prettamente economiche non sono così facilmente superabili, però ritengo che un modo ci sia.

Potrebbe infatti esistere una modalità attuativa del conflitto di interessi che porti ad un recupero di risorse concreto ed effettivo, e non sterilizzato dalla correlata necessità di compensare l’eventuale paritetico sconto in nero praticato dal venditore.

Ciò potrebbe essere reso possibile dalla creazione di un sistema di calcolo della deduzione tale da indurre chi paga a voler comunque ottenere il beneficio, rinunciando allo sconto in nero, quindi anche in assenza di un immediato, corrispondente e proporzionato vantaggio.

Una modalità che ho pensato di chiamare:

NO DEDUCTION AREA