L'EVASIONE FISCALE: UN ERRORE DI FONDO 

Il pagamento delle imposte dovute allo Stato nella percezione comune è vissuto quasi esclusivamente come una vessazione; come se non bastasse, si tratta di importi sul cui impiego si sprecano commenti non certo benevoli perché “vengono spesi male”, "in cambio lo Stato non mi dà nulla perché io pago tutto”...

La logica conseguenza è l’idea comune e condivisa che chi evade non fa un torto a nessuno (a limite allo Stato), ma semplicemente è più furbo; questa errata percezione è la prima causa dell’evasione fiscale.

I cittadini italiani usufruiscono di un sistema che permette loro di non pagare direttamente molti servizi, dal momento che ognuno concorre alle spese pubbliche in ragione di ciò che guadagna: per tale ragione si parla, infatti, di capacità contributiva, cioè la partecipazione alla spesa è commisurata al reddito di ognuno o, ancora più semplicemente, a quanto ognuno guadagna durante l’anno (lo stipendio, la pensione, i ricavi del negozio, impresa o società).

Quindi il primo step per affrontare seriamente la lotta all’evasione è cambiare prospettiva e capire che in realtà i soldi delle imposte non “vanno in tasca” al Governo o ai politici, ma servono per godere di una serie di servizi di cui comunque si usufruisce, anche ed ancora prima di avere un reddito che permetta di concorrere alle spese pubbliche ed anche se, per qualsivoglia motivo, non si riuscisse mai a concorrere.

E' perciò necessario diffondere a monte la consapevolezza che contribuire alle spese pubbliche è un dovere di tutti, così come al contempo è un nostro diritto che ognuno adempia a questo dovere al pari nostro, proprio perché i riflessi negativi che derivano dall’evasione non incidono su di un'astratta entità Stato, ma agiscono direttamente su ogni cittadino sia in via diretta (attraverso la riduzione dei servizi pubblici in senso lato o l’aumento delle imposte) che in via indiretta; l'evasione, infatti, è una forma di concorrenza sleale, sia tra imprese che tra singoli soggetti privati.

Semplificando e riepilogando, si può dunque affermare che l’evasione  rappresenta la differenza tra quanto sarebbe dovuto essere il contributo alle spese pubbliche teorico (in ragione del proprio reddito effettivo e della correlata capacità contributiva) e ciò che è stato effettivamente versato e che l’evasore da un lato si appropria indirettamente di risorse pubbliche, trattenendole a suo esclusivo vantaggio, ma dall’altro e contemporaneamente, in modo indebito (perché non contribuisce per quanto dovrebbe), sottrae indirettamente ulteriori risorse pubbliche (sotto forma di benefici o servizi) a chi effettivamente ne avrebbe titolo e diritto.

Ecco perché non solo lo Stato subisce il danno economico derivante dall' evasione, ma tutti i cittadini, nessuno escluso, sono colpiti direttamente da questo fenomeno.

Per risolvere il problema concettuale di fondo che si cela dietro la mancata disapprovazione sociale dell’evasione è necessario una rivoluzione culturale che induca tutti a concepire il disvalore effettivo e reale di tali comportamenti.

È pacifico che finché queste considerazioni resteranno infatti nell’alveo di ragionamenti e considerazioni di carattere esclusivamente moralistico, non si riuscirà mai a dare il giusto peso (negativo ovviamente) alle condotte che portano a sottrarre risorse alla collettività prima che allo Stato, inteso come erogatore id servizi.

Probabilmente per questo motivo al fine di avviare questa che può essere definita una vera e propria rivoluzione culturale, bisogna introdurre degli strumenti tali che ognuno di noi sia messo a contatto diretto con gli effetti distorsivi arrecati dall’evasione.

Fare in modo, quindi, che tutti possano rendersi conto che l’evasione non danneggia solo lo Stato, bensì danneggia tutti i cittadini, perché non solo lo Stato, ma tutti noi, siamo vittime dell’evasione.